Palermo tra street food, capolavori d’arte e mercati arabi
Di Nicoletta A.Palermo è una di quelle città dall’anima multietnica, uno di quei luoghi che trasuda storia in ogni angolo, in ogni vicolo, in ogni quartiere. Una città dai mille volti e le mille maschere, ma che non usa per nascondersi, ma solo per mostrare ogni sua sfaccettatura.
Perché Palermo non si nasconde affatto, anzi, ostenta tutta se stessa, nel bene e nel male. E lo ostenta con forza, urlando, e puoi sentire la sua voce, le sue grida, direttamente dai suoi figli, passando per esempio dai mercati storici, che rappresentano il cuore pulsante della città.
Dal più antico, il Ballarò, al più famoso, la Vucciria, grazie anche alla tela del pittore bagherese Renato Guttuso, fino al più colorato, il Capo, proprio alle spalle del Teatro Massimo. Già, proprio il quel teatro che non molti sanno essere il terzo più importante d’Europa dopo Vienna e Parigi, nonché il primo nel continente per ampiezza del palcoscenico.
Una cucina a cielo aperto…
Non puoi dire Palermo senza dire storia, è vero, ma diciamoci la verità: soprattutto non puoi dire Palermo senza dire cibo! La cucina palermitana è un condensato di millenni di tradizioni, di ricette, di usi, di specialità che si sono radicate qui nel capoluogo siculo come retaggio delle decine e decine di dominazioni passate a lasciare il segno. E oggi turisti e palermitani ne godono i frutti!
Si comincia con i “cazzilli”, specialità dello street food di marca palermitana, forse tra quelle alla portata anche dei più scettici. Sono infatti panelle e crocché, ovvero farina di ceci e patate, fritte in olio bollente e condite con sale abbondante e una spruzzata di limone. Ma naturalmente non si può prescindere dalle arancine, rigorosamente al femminile, da scegliere tra quelle alla carne o al prosciutto, se si vuole seguire la tradizione; i più audaci (e affamati) magari potranno anche prendere le arancine bomba, anche chiamate “test’i picciriddu”, la cui macabra traduzione è “testa di bambino”: nessuna paura, il riferimento è solo alla dimensione, proprio quanto la testa di un bambino! Probabilmente però il re del cibo da strada palermitano non può che essere il “pane ca meusa”: anche qui, la tradizione è quella che in inglese sarebbe definita un “false friend”, poiché in realtà nel panino con la milza, di milza ce n’è appena una fettina sottile, 2 al massimo. Tutto il resto sono polmone e “attaccagghi”, ovvero varie parti meno nobili come trachea, esofago e via discorrendo. Chi supererà l’impressione, avrà aperte le porte del paradiso!
…ed un museo a cielo aperto
Ma ci sarà certamente un motivo se Palermo è considerata da molti fra le città più belle d’Italia, addirittura all’ottavo posto secondo le classifiche di Travel365, e questo motivo non può essere lo street food. Almeno non solo quello.
Ed infatti tra i tanti soprannomi della città, vi è anche quello di “museo a cielo aperto”, poiché in quello che è il centro storico più grande d’Europa, i capolavori e le chicche di arte e architettura sono disseminate in ogni angolo. Da già citato Teatro Massimo, capolavoro neoclassico della famiglia Basile, alla Cattedrale in stile gotico-chiaromontano, che nasconde una storia che affonda le radici al tempo dei romani: da basilica cristiana infatti, diventò moschea con gli arabi e di nuovo chiesa con i normanni, mutando aspetto fino a quello attuale. Ed ancora le oltre 300 chiese, da quelle barocche come Casa Professa a quelle arabo normanne come la Martorana, dai palazzi nobiliari di fine 800 come il Palazzo Vaguarnera-Gangi, noto per la scena di ballo del Gattopardo di Visconti, a giardini pubblici del ‘900 come i Giardini Inglesi e Villa Giulia.
Ma se il nome Palermo deriva dal greco “Panormus”, ovvero “tutto porto”, non può mancare un riferimento al mare: ma qui le parole sarebbero insufficienti: i colori di Mondello vanno visti e vissuti sulla propria pelle.
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