Le attrattive dell’Isola di Pasqua: statue moai, ma anche immersioni e trekking

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Per gustare pienamente le meraviglie dell’Isola di Pasqua, anche nota con il nome indigeno di Rapa Nui, servono almeno cinque giorni. L’isola, persa nell’Oceano Pacifico meridionale a ben 3600 chilometri di distanza dalle coste del Cile e a 2000 chilometri dalle isole più vicine, le Pitcairn, si raggiunge con cinque ore di volo da Santiago del Cile – esclusivamente con la compagnia TAN Chile. Il periodo migliore per visitarla va da dicembre a febbraio.

La Isla de Pascua, come la chiamano i cileni, deve il suo nome al fatto di essere stata scoperta dal navigatore olandese Jakob Roggeveen proprio la domenica di Pasqua dell’anno 1722. Questo è un luogo così diverso da qualunque altro al mondo da sembrare inventato. Gli indigeni, i Rapa Nui, sono di ceppo polinesiano e parlano una varietà del dialetto maori che si parla sulle isole Cook. Niente a che fare con i sudamericani del Cile a cui oggi l’isola appartiene, dunque. Sbarcarono in questo arcipelago sperduto oltre mille anni fa e la colonizzarono in più fasi. Come tutti sanno, la storia dell’isola è indissolubilmente legate ai moai, i celebri enormi busti umani di roccia scolpita che popolano tutta l’isola. Furono lavorati ed eretti durante quasi quattro secoli, dal XIII al XVI e oggi ce ne sono ancora circa seicento, tutti lungo la costa, ma con il volto rivolto verso l’interno. Probabilmente le statue rappresentavano dei capi clan indigeni defunti, e secondo le credenze popolari la loro presenza avrebbero permesso di stabilire un contatto con il mondo dei morti. A un certo punto la scultura dei moai fu bruscamente tralasciata per ragioni ancora non ben chiarite. L’ipotesi più accreditata è che i vari clan avessero scatenato una gara per costruire moai sempre più imponenti. Questa competizioni portò a un processo irreversibile di disboscamento dell’isola. Infatti, una volta scolpiti, i moai erano trascinati su slitte di legno oppure fatti rotolare su tronchi fino alle piattaforme cerimoniali su cui venivano innalzati. Esauriti gli alberi sull’isola, sarebbe scoppiata la guerra civile e ogni tribù avrebbe iniziato a distruggere i moai degli altri. Un autoannientamento drammatico, insomma, paradossalmente dettato dalla volontà di autocelebrarsi. Poi arrivò la colonizzazione europea e l’annessione al Cile. Solo negli anni 50 del secolo scorso iniziarono le ricerche archeologiche e la riscoperta dell’antica civiltà.

La popolazione, che nel XVI e XVII secolo contava circa 15.000 persone alla fine del’800 era ridotta a poco più di cento individui, a causa di malattie, malnutrizione e razzie dei mercanti di schiavi peruviani. Oggi si stima che siano circa 4000 i Rapa Nui, cifra che include i locali e gli emigrati in Cile. Tuttora gli uomini dell’isola hanno lunghi capelli e una schiena tatuata con figure simili alle incisioni rupestri dell’isola. I rapporti tra indigeni e governo cileno non sono idilliaci, perché la popolazione locale rivendica da sempre l’indipendenza dal Cile.

Chiunque visiti l’isola sentirà parlare dell’antico rito del Tangata manu (Uomo uccello), una sorta di competizione sportivo-religiosa in cui nell’età dell’oro dei moai gli hopu, cioè gli uomini più prestanti dell’isola si riunivano per contendersi il titolo: dovevano scendere giù per il versante del vulcano, tuffarsi in mare, arrivare all’isoletta di Motu Nui, raccogliere un uovo di sterna e ritornare al villaggio con l’uovo integro. Il primo che tagliava il traguardo era nominato Uomo uccello per un anno e aveva il diritto di governare sull’isola come un dio e di avere le donne più belle. Sì, non vi sbagliate, è proprio la storia che sta alla base della trama del film Rapa Nui interpretato nel 1997 da Kevin Costner.

Non possiamo esaurire in questa paginetta tutti i capitoli della storia dell’isola, che è fatta anche di topi, cannibalismo e tavolette parlanti. Se volete potete approfittare il discorso leggendovi un testo recente come Conoscere l’Isola di Pasqua. Storie e segreti di Rapa Nui di Giovanna Salvioni.

Quali sono i luoghi da visitare sull’isola di Pasqua?
Sicuramente il più suggestivo è la cava di Rano Raraku, dove furono ricavate gran parte delle statue dell’isola. E qui giacciono ancora centinaia di sculture, lasciate incomplete, abbandonate nel momento in cui ebbe fine l’epoca dei moai. Particolarmente notevole è l’enorme testa ribattezzata El Gigante, alta ben 21 metri. Particolarissimo il moai Tukuturi, dalla figura inginocchiata e con la barba, unico nel suo genere.

Dalla cava di Puna Pau viene invece la pietra che era usata per il pukao rosso, una sorta di cresta che decorava molti moai e la testa dei capi clan.

Un altro importante sito archeologico è Ahu Tahai, uno dei più antichi dell’isola.


Sicuramente da non perdere una visita all’antico villaggio di Orongo, costruito sull’orlo del cratere del vulcano Rano Kau: qui sono state ritrovate un centinaio di incisioni rupestri, molte delle quali raffiguranti l’uomo uccello. Inoltre si gode di una vista meravigliosa sugli isolotti di Motu Iti, Moto Kao Kao e Motu Nui (nella foto qui sopra). Contemplare il calar del sole dietro il cratere del vulcano è qualcosa di indescrivibile.

Splendida anche la spiaggia bianca di Anakena, orlata da palme importate da Tahiti (nella foto qui sotto).

Dovunque sulle praterie e le colline dell’isola, migliaia di cavalli allo stato brado, non fanno che aggiungere fascino all’atmosfera dell’isola.

Hanga Roa è l’unico centro abitato, con circa 3000 abitanti che costituiscono il 90% della popolazione totale. Praticamente un villaggio con una via commerciale, piena di negozi di souvenir dove ovviamente su ogni oggetto è presente l’immagine dei moai. Questo è il luogo dove bisogna informarsi se si vogliono fare immersioni subacquee. Quella del diving, insieme al trekking sulle varie cime da scalare è infatti la nuova attrattiva dell’isola di Pasqua come meta del turismo d’élite. I fondali, a circa un miglio dalla costa sono meravigliosi. Un’acqua limpida e piena di vita: pesci pappagallo, tonni giganti, coralli. Anche sul fondale si intravedono dei moai giganti, come se fosse impossibile separarsi dalla storia dell’isola anche in mare aperto.


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